La Flagellazione di Cristo è un dipinto, tempera su tavola (58,4×81,5 cm) di Piero della Francesca, creato nel 1453 circa e conservata nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino.
Secondo me, da un’attenta osservazione degli affreschi della cappella Sassetti eseguita dal Ghirlandaìo in Santa Trinita a Firenze è possibile riconoscere la prima persona a sinistra in primo piano nella flagellazione di Piero della Francesca, la quale è Francesco Sassetti (Firenze, aprile 1421 – 9 marzo 1490) uomo di fiducia di Lorenzo il Magnifico, si vide affidare la direzione dei suoi affari in Francia, con le qualifiche di gestore e procuratore.
Amministrò prima la filiale di Ginevra, che venne poi spostata a Lione, dove investì, assieme ai Medici e ad altri soci, una cifra che gli permetteva di partecipare agli utili.
Divenne poi direttore generale del Banco mediceo dal 1469 fino alla morte nel 1490.
Grazie alla frequentazione della corte medicea divenne un uomo colto e raffinato, amico di Marsilio Ficino, Agnolo Poliziano e Bartolomeo Fonzio.
A destra in primo piano compaiono il Gonfaloniere di Giustizia Antonio Pucci, cognato di Francesco Sassetti, Lorenzo il Magnifico, Francesco Sassetti stesso e il figlio Federigo, destinato alla carriera religiosa.
Il Sassetti ritratto dal Ghirlandaio nell’omonima cappella è più anziano rispetto a quello ritratto nella flagellazione di Piero della Francesca ma secondo me è comunque ben riconoscibile nei tratti del viso, nella particolare capigliatura rasata corta e probabilmente nel neo sotto la mandibola sinistra.
Il Sassetti è chiaramente il committente e fa eseguire questa tavola per regalarla al duca di Urbino probabilmente in occasione del Concilio di Mantova del 1459, o dieta o congresso di Mantova che venne convocato da papa Pio II, eletto l’anno prima, per organizzare una spedizione contro gli Ottomani che avevano preso Costantinopoli nel 1453. Il suo appello era rivolto ai sovrani d’Europa, perché smettessero di combattersi fra loro ma si unissero contro il comune nemico della Cristianità. Le guerre nell’Italia del nord si erano appena concluse con la Pace di Lodi, ma in Inghilterra si combatteva la Guerra delle due rose e la guerra dei tredici anni schierava le città prussiane e la nobiltà locale contro i Cavalieri Teutonici, il cui supporto sarebbe stato fondamentale.
Credo inoltre che la mano che ha eseguito il ritratto del Sassetti sulla flagellazione, non appartenga a Piero della Francesca che non fu un ritrattista come si deduce dalla sua intera produzione, ed il Sassetti uomo d’affari non poteva tollerare di non essere riconosciuto immediatamente da Federico da Montefeltro duca di Urbino, al quale tavola appositamente dipinta a Firenze era stata realizzata per essergli donata.
Guardando bene anche i ritratti del Sassetti nell’omonima cappella possiamo notare come solo il suo sia particolarmente lavorato e vicino al vero rispetto alle lavorazioni chiaramente più blande degli altri personaggi ritratti, segno tangibile del carattere puntiglioso ed inflessibile della sua personalità capace di ottenere ciò che voleva e di non sorvolare sui dettagli, qualità queste che sicuramente lo fecero salire ai vertici del potere economico e politico dell’epoca.
Ho dubbi anche sulla realizzazione del dipinto dell’abito del Sassetti, evidentemente ricco e di fattura pittorica che non ha niente a che vedere con le realizzazioni degli altri abiti e tessuti della stessa tavola.
Il secondo personaggio da destra è Marsilio Ficino (Figline Valdarno, 19 ottobre 1433 – Careggi, 1º ottobre 1499) è stato un filosofo, umanista e astrologo italiano, amico del Sassetti.
Silio Bozzi, capo della Polizia scientifica di Ancona ha effettuato una serie di indagini e ricerche che hanno condotto al risultato secondo il quale dietro il ritratto del giovane biondo si celerebbe il filosofo Marsilio Ficino. Difatti secondo il direttivo della Polizia scientifica di Ancona l’opera potrebbe rappresentare l’iniziazione cerimoniale del filosofo sopracitato.
La Polizia tramite l’ausilio di tecniche investigative, in particolare della comparazione antropometrica, ha confrontato una riproduzione del giovane biondo ritratto nella Flagellazione con delle miniature raffiguranti Marsilio Ficino.
L’immagine del giovane biondo è stata però preventivamente invecchiata tramite la tecnica dell’Age Progression.
La comparazione della fisionomia dei due soggetti è risultata essere positiva.
A sostegno dell’ipotesi dell’iniziazione Bozzi ha evidenziato nel dipinto un particolare nascosto raffigurante la benda utilizzata durante il rito di iniziazione. La benda rossa in questione è posta sotto il vestito della terza figura e scende giù fino ai piedi.
Inoltre un ulteriore elemento a conferma di tale ipotesi è il particolare che la figura centrale presenta i capelli mossi e bagnati come se fossero stati immersi nell’acqua, elemento purificatore.
Nella fascia di cornice, a destra, sotto i tre personaggi in primo piano, almeno fino al 1839, secondo il Passavant si leggeva la scritta “Convenerunt in unum” (“Si accordarono” o “Si allearono” molto probabilmente il titolo originale della tavola), tratto dal Salmo II, che fa parte del servizio del Venerdi santo, riferito alla Passione di Cristo: Adstiterunt reges terrae et principes convenerunt in unum adversus Dominum et adversus Christum eius.
Anche Luigi Luminati, su Il resto del Carlino del 18 gennaio 2010, in un articolo dal titolo Scientifica risolve il caso “Flagellazione” – Piero della Francesca e i Pitagorici, scrive che la Flagellazione rappresenterebbe “l’iniziazione del continuatore della tradizione culturale neo-platonica che gli studiosi bizantini avevano portato in Italia nel Rinascimento”. Neo-platonica, aggiungiamo noi, e neo-pitagorica, nella misura in cui l’ultimo Platone risulta profondamente influenzato da Pitagora.
Nell’anno in cui sta per cadere Costantinopoli, “viene immortalata la consacrazione di Ficino quale futuro erede del cardinale Bessarione (l’unico nella storia che fu anche Basileus della chiesa ortodossa, N.d.R.). Due importanti membri del culto misterico pitagorico-platonico introdotto in Italia da Gemisto Pletone”.
Il terzo personaggio da destra è il cardinale Bessarione (in greco Βησσαρίων, al secolo forse Basilio; Trebisonda, 2 gennaio 1403 – Ravenna, 18 novembre 1472) è stato un cardinale e umanista bizantino.
Nel 1437 fu nominato arcivescovo di Nicea e nel 1438 venne in Italia con il cardinale Cusano, prima a Ferrara, poi a Firenze, per discutere insieme alla numerosa delegazione bizantina e l’imperatore stesso, l’unione delle due Chiese, nella speranza di ottenere l’aiuto occidentale contro gli Ottomani che diventavano sempre più minacciosi nei confronti di Costantinopoli.
Mentre prima del Concilio di Ferrara Bessarione apparteneva al partito bizantino contrario all’unione, durante il Concilio si dimostrò fautore dell’unione della Chiesa romana con quella ortodossa. Su basi filologiche e teologiche Bessarione dimostrò che un passo dibattuto del testo di San Basilio (figura di spicco della chiesa ortodossa) sosteneva posizioni uguali a quelle della Chiesa di Roma, mentre le copie del testo che non avevano il passo incriminato erano tutte molto recenti. La questione dogmatica principale che divideva le due Chiese era quella detta del Filioque, riguardante il rapporto all’interno della Trinità tra il Figlio, il Padre e lo Spirito Santo: significativo, a questo proposito, è il dibattito che, durante il Concilio, avvenne tra il Bessarione e Ludovico da Pirano, presente in quanto Vescovo di Forlì. Ma le ragioni che dividevano le due chiese erano più profonde. Le ragioni ecclesiologiche e storico-politiche erano tanto complesse e profonde da sembrare più difficilmente superabili rispetto a quelle dogmatiche.
Questa ostilità dei Bizantini nei confronti dei cristiani latini era iniziata nel 1054, con la scomunica reciproca, ma si era ulteriormente approfondita dopo la quarta crociata del 1204, che aveva distrutto l’Impero bizantino con la conquista e il saccheggio di Costantinopoli e la divisione dei territori bizantini tra le potenze che avevano preso parte alla “crociata”, soprattutto i veneziani, anzichė puntare contro i Turchi per riconquistare Gerusalemme. Il 6 luglio 1439 comunque, per la volontà esplicita dell’Imperatore di raggiungere un compromesso, fu letto, alla presenza del papa Eugenio IV e dell’imperatore stesso, il decreto di unione delle Chiese, dal cardinal Cesarini in latino e da Bessarione in greco.
Ma che tipo di rapporto legava Marsilio Ficino con il cardinal Bessarione?
Lo si comprende facilmente ripercorrendo la storia di quegli anni, che è la storia dello shock collettivo per l’imminente caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi e del tentativo eroico di sottrarre la cultura classica alla distruzione.
Bessarione faceva parte della delegazione che venne in Italia nel 1438, in occasione del concilio tenutosi a Firenze sotto Cosimo de’ Medici nel tentativo di sanare lo scisma d’Oriente: in quella data, veramente epocale per la cultura dell’Occidente, arrivarono in Italia ben 650 studiosi, eruditi e ecclesiastici al seguito dell’imperatore Giovanni VIII di Bisanzio e del patriarca di Costantinopoli Gennadio II.
Tornato a Costantinopoli, il Bessarione dovette fronteggiare l’ostilità della popolazione e del clero locale, finché, nel 1440, abbandonò la città e si trasferì definitivamente in Italia. Caduta Costantinopoli nel 1453, il Bessarione si prodigò in ogni modo per soccorrere i dotti bizantini sfuggiti alla cattura degli Ottomani, passando quindi alla storia come uno dei principali responsabili della sopravvivenza della cultura classica e diventando una figura di primissimo piano della cultura mondiale.
Fra i testi resi noti agli Occidentali nel 1438 c’erano il Timeo di Platone e, con ogni probabilità, il Corpus Hermeticum attribuito ad Hermes Trismegisto. A quell’epoca il Ficino aveva solo 5 anni, ma sarà proprio lui a tradurre il Corpus Hermeticum, per volontà di Cosimo de’ Medici, tra il 1460 e il 1463.
Accostare il Ficino al Bessarione, personalità eminenti nel campo della cultura e per di più legate entrambe alla misteriosa figura di Hermes Trismegisto, è dunque ovvio, per chiunque conosca un minimo l’ambiente culturale di quel periodo.
Luminati ci propone infine una sua intervista a Silio Bozzi, durante la quale il direttore della Scientifica fa alcune rivelazioni ancor più interessanti di quelle rese pubbliche nella conferenza: “Ficino è il passepartout per svelare altri simboli. La tradizione è quella pitagorica e platonica che porterà all’Accademia di Ficino. C’è l’assimilazione del nuovo iniziato al Cristo, l’unto per eccellenza. Piedi e gomito del giovane biondo sono perfettamente sovrapponibili a quelli di Gesù sullo sfondo.
Ci sono altri numerosi simboli esoterici. La scala di 7 gradini sullo sfondo; l’idolo d’oro ha bastone e sfera come Pitagora; nel cerchio sotto il Cristo c’è la ‘monade’ adorata dai pitagorici; la stella a otto punte è anche nel simbolo del Ficino”.